L’influenza aviaria è una malattia che colpisce perlopiù gli uccelli selvatici, nonostante sia molto contagiosa anche per uccelli domestici quali polli, anatre, tacchini ed altri animali da cortile. Questa infezione virale è causata dai virus della famiglia Orthomyxoviridae e del genere dell’Influenza-virus A. L’indice di patogenicità, stabilito tramite test sierologici e test virologici utili alla tipizzazione del sierotipo, porta alla distinzione di due differenti ceppi: l’HPAI e l’LPAI. Il primo ceppo, che comprende i virus dell’influenza aviaria ad alta patogenicità, causa una malattia estremamente grave, caratterizzata da un’infezione generalizzata del pollame colpito che può sfociare in una mortalità in allevamento molto elevata (fino al 100%). Il secondo ceppo invece, comprendente virus dell’influenza aviaria a bassa patogenicità, causa nel pollame un’affezione leggera, prevalentemente respiratoria, salvo aggravamento dovuto ad altre coinfezioni o ad altri fattori.
Gli animali colpiti presentano una sintomatologia varia: febbre, depressione, inappetenza, piume arruffate e riduzione dell’assunzione idrica. Ulteriori sintomatologie sono riscontrabili tra le galline ovaiole quali posizione accovacciata o eretta in stato semicomatoso, cianosi e edema di cresta e bargigli con possibile presenza di petecchie ed ecchimosi emorragiche.
Purtroppo, di tale malattia non esiste terapia ed essa è soggetta a denuncia obbligatoria. Fondamentali in questi casi sono efficaci piani di sorveglianza uniti all’applicazione di rigide misure di biosicurezza, pilastri anche per evitare l’introduzione dei virus influenzale negli allevamenti avicoli. Esistono a tal proposito una serie di regolamenti da applicare nel caso di positività al virus: abbattimento di tutti gli animali, vuoto sanitario con pulizia e disinfezione e istituzione di zone di restrizione. L’abbattimento di tutti gli animali deve avvenire in pochi minuti con metodi umanitari nel rispetto delle norme sul benessere animale, tramite la somministrazione di agenti inalatori quali il biossido di carbonio (CO2). Le zone di restrizione nel caso di HPAI sono due: una di protezione (3 km di raggio dall’azienda infetta) e una di sorveglianza (10km di raggio dall’azienda), secondo quanto previsto dall’Allegato V del Regolamento delegato (UE) 2020/687.
Fortunatamente i virus aviari non sono in grado di trasmettersi in modo efficacie all’uomo, ma in casi sporadici e in determinate condizioni può accadere. Esempi di situazioni favorevoli alla trasmissione interspecifica con l’uomo sono: l’esposizione attraverso il contatto diretto con volatili morti o ammalati, con superfici o materiali contaminati da escreti e secreti infetti o attraverso le mucose o attraverso aerosol infetto, oppure attraverso il consumo di carni e uova non ben cotte di volatili infetti.
In merito al consumo di alimenti derivanti da animali malati, un comunicato congiunto della FAO e dell’OMS, diffuso tramite il Network delle autorità per la sicurezza alimentare (Infosan), dichiara che carni e uova di volatili infetti cotte in maniera adeguata sono sicure.
A partire dal 19 ottobre 2021 sono state confermate dal CRN (Centro di Referenza Nazionale) per l’influenza aviaria diverse positività al virus, ceppo HPAI, per la maggior parte del sottotipo H5N1, nel pollame domestico in Italia. L’epidemia ha coinvolto diversi allevamenti di tipo industriale, in particolare di tacchini da carne situati in provincia di Verona oltre che, come confermato il 9 novembre 2021, anche molti volatili selvatici.
Da allora sono state applicate in modo preciso le misure di contenimento sopradescritte e l’epidemia di influenza aviaria ad alta patogenicità sta decisamente rallentando sia in Veneto sia in Lombardia, due delle regioni più a rischio visto l’elevato numero di allevamenti. Non sono stati registrati dal 10 gennaio nuovi focolai ma sono stati davvero molti gli animali abbattuti e/o morti per la malattia: seppur difatti non sia possibile essere precisi si stima ammonti sui 15 milioni di capi.
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